giovedì 5 febbraio 2009


La richiesta di servizi si manifesta anche attraverso un nuovo tipo si offerta. Buona o cattiva che sia poco importa, basta stare lontani dal "salotto buono " e possibilmente nascosti tra i grigi capannoni.
Solo così la morale cittadina sospende il suo giudizio e diviene tollerante.
Solo così in una ristretta area della Provincia vicentina si è concentrata una quantità di locali a luci rosse pari al Red Light District di Amsterdam.
Ma forse anche questa è una attivita' produttiva? magari un'eccellenza????

Ale

Tra tanti capannoni, c'è anche lui!

...guardate un po': la zona industriale di Vicenza non smette mai di stupire e oltre a Dainese, Bottega Veneta, Campagnolo, Morseletto, ecc.. ospita pure qualcosa di un po' più alternativo!
Tanti lo criticano, molti lo disprezzano, ma il buon vecchio CAPANNONE ALLA VENETA si dimostra ancora una volta una delle "tipologie edilizie" più duttili e potenzialmente creative. Una "boite à miracle", per dirla alla Le Corbusier, da riempire possibilmente di qualche miracle.
Francesco

mercoledì 4 febbraio 2009

CONCORSO A MASSA


Ciao a tutti. Scusate l'auto(ec)citazione. Questo è un progetto che risale ormai al 2001, fatto con la collaborazione di Francesca Benati e Fabio La Porta. Ha vinto un concorso ad inviti promosso da una cooperativa di Massa per la realizzazione della propria sede.

Lo mostro per due motivi,illustrati dalle due immagini:

a. l'idea di "intaccare" la stereometria banale del capannone con incastri di volumi di piccola scala destinati a spazi per uffici, sale riunione, volumi tecnici...

b. anche in quella sede si poneva il problema del drenaggio e della ritenzione temporanea dell acque meteoriche, che abbiamo risolto grazie ad una trincea riempita di ghiaia lungo i confini.

Ciao Roberto

SONDAGGIO DEI SINDACATI SULLA ZONA INDUSTRIALE


Ciao, Giacomo.

domenica 1 febbraio 2009

Ma non è certo solo un problema di Vicenza! Io direi che tutta l’Italia soffre questa sorta di "cappio al collo".
Sembra che il presente e anche il futuro abbiamo la sola ragion d’essere se fondati sul nostro passato, più o meno illustre.
È un problema certo di educazione o di paura (tanti purtroppo sono i cattivi esempi di architettura moderna che hanno diffuso il panico, la sfiducia che il nuovo possa fare bene). Siamo poi talmente poco abituati a vedere del nuovo, perché troppo pochi, rarissimi sono i buoni esempi disponibili sul nostro territorio. O meglio il nostro nuovo attuale è il centro commerciale (neorinascimentale?!) spuntato oramai ovunque o la nostre amebica sprawltowns(qui però nessuno si indigna perché hanno la loro sporca necessità!!!). Bisognerebbe invece far cogliere l’alto potenziale che ha l’architettura contemporanea nel risolvere meglio e prima le nostre esigenze attuali, nel rappresentare il nostro “principium individuationis”, ché non si tratta soltanto di materia costruita ma di tutte le dinamiche sociali relazionali etc, che solo lei è in grado di innescare. E senza il bisogno di alcuna edulcorazione storica! Bisognerebbe far radicare poi la sicurezza e convinzione che il contemporaneo non cancella il passato ma se ne sovrappone, stratificando , aumentando la sostanza, lo spessore, l’interesse, la vitalità, creatività e vivibilità dei nostri luoghi. E ci sarà sempre spazio (purtroppo!) nella città per cui Palladio sarà il patrono indiscusso.
Dovremmo riempire la piazze degli buoni esempi europei, dovremmo provocare la gente con più progetti…come sono e come potrebbero essere, diventare le nostre città…
Ops ma è questo uno degli obiettivi del nostro workshop!!!
gian